Innocenzo Manzetti
Innocenzo Manzetti

Museo Manzetti

1987-2023

36 anni di attività

sede associazione:

 

Viale Federico Chabod, 62


11100 Aosta (Valle d'Aosta)

 

museo.manzetti@gmail.com

 

Tel. 339 3574718

Le varie fasi della "vita" dell'automa

Una creazione in continua evoluzione

 

1) Funzionamento meccanico (1840-1849)

La prima versione dell'opera era basata su un funzionamento meccanico del tutto simile a quello degli orologi. Ingranaggi, leve, pulegge, contrappesi e snodi erano mossi da un sistema a carica. La sedia su cui si accomodava l'automa conteneva i meccanismi che controllavano il movimento delle dita e delle labbra. L’apparato centrale era principalmente costituito da un cilindro sul quale erano infissi dei fermi di ferro i quali trasmettevano il movimento a ben 16 leve che a loro volta - per mezzo di catene che si snodavano lungo dei bracci  - mettevano in comunicazione il cilindro con le dita. Queste ultime erano mosse da molle elastiche; le falangette chiudevano i fori del flauto producendo il tipo di melodia programmata.

 

 

2) Funzionamento collegato ad un armonium (1849-1851)

A seguito dell’invenzione dell’armonium, Manzetti fu incuriosito dalle possibilità espressive di tale strumento che, collegato al suo automa, ne avrebbe potuto controllare i movimenti musicali.

Seguendo questa intuizione, egli approntò una prima modifica al suo robot tra il 1849 e il 1850, così come si evince da alcune testimonianze dell’epoca, fra cui quella del capitano Laurent Pléoz che, nell’autunno del 1849, notò a casa dell’inventore l’automa e “un pianoforte molto grande realizzato dallo stesso autore”.  Negli stessi anni, l’organista della Cattedrale di Aosta ebbe modo di far suonare l’automa, già collegato all’armonium.

 

 

3) Perfezionamento del sistema (1851-1861)

L’occasione propizia per migliorare ulteriormente l’uomo-automa si presentò pochissimo tempo dopo, quando nel 1851 il Comune di Aosta finanziò un viaggio di Manzetti a Londra per visitare l’Esposizione Universale. Da quel viaggio Manzetti tornò carico di novità e di idee, da applicare alle sue creazioni: tra l’altro, pensò di realizzare una suonatrice di chitarra, versione femminile dell’automa sulla quale, purtroppo, non possediamo altre notizie.

Le modifiche apportate al suonatore meccanico in questo periodo furono notevoli; nel 1854, l’inventore elaborò l’idea, documentata da numerose testimonianze, di dotare l’automa di un sistema vocale e di utilizzare come forza motrice l’energia elettrica fornita dalle pile.

 

 

4) Duplice funzionamento: meccanico e pneumatico (1861-1865)

Il 1861 fu l’anno della terza versione. I giornali locali prospettavano per l’automa una partecipazione all’Esposizione italiana di Firenze, per la quale furono raccolti, purtroppo invano, fondi da alcuni benefattori. La Feuille d’Aoste del 16 luglio di quell’anno descriveva un robot il cui “meccanismo è già completo, funziona” ma che l’inventore doveva ancora “portare a termine.” Ci si trovava dunque in un momento cruciale del lavoro di Manzetti, che aveva dotato l’automa di un duplice funzionamento, meccanico e pneumatico.

Nonostante le numerose sollecitazioni, impegnato in continui interventi migliorativi, l’inventore non volle mai mostrare la sua opera in occasione di pubbliche manifestazioni. Ancora nell’autunno del 1864 declinava l’invito a esporre il suo automa a Londra, dichiarando di non aver ancora ultimato la messa a punto definitiva, prevista per l’estate successiva.

 

 

5) Funzionamento pneumatico e vocale (1865-1866)

L’automa fu portato a compimento tra il 1864 e il 1865 e la stampa diede subito risalto alle potenzialità del robot.

Il movimento a carica fu definitivamente soppiantato, ma probabilmente non del tutto abbandonato, da un motore ad aria compressa, forse il primo al mondo nel suo genere: “Si vede nel suo organismo una ramificazione di molti tubicini di gomma elastica pieni di aria compressa....” (Il Diritto, 10 luglio 1865).

Il suo ideatore avrebbe anche voluto far parlare l’automa, trasmettendogli la voce a distanza, in modo che lo spettatore potesse ammirare un uomo meccanico suonatore e parlante. Dagli studi per la realizzazione di questo obiettivo sarebbe nato quello che Manzetti chiamò “telegrafo vocale”: il telefono.

 

 

6) Versione definitiva (1866-1877)

Nel 1866, l’automa fu oggetto di ulteriori modifiche. Risulta, infatti, che la macchina aveva “per forza motrice l’aria debolmente compressa, la quale riproduce le melodie che il suo autore trae da un armonium, con cui viene posto in comunicazione per mezzo dell’elettricità tratta dalle pile”  (La Verità, 4 gennaio 1866). Il funzionamento, quindi, diventava sempre più sofisticato, prevedendo anche l’impiego dell’elettricità, già sperimentato intorno al 1854. Che Manzetti fosse arrivato ad un grado di realizzazione soddisfacente dell’automa è desumibile dalla lettera con cui l’inventore ringraziò il Sindaco di Invorio per il contributo di 100 lire elargitogli proprio per aiutarlo nell’acquisto di pile elettriche. Nella stessa occasione, Manzetti dichiarò che l’automa era finalmente terminato e che se lo si voleva esporre sarebbe stato opportuno “abbellirlo”; probabilmente intendeva vestirlo, in modo da nascondere i vari congegni: “il est terminé, sauf à l’embellir, si l’on veut l’exposer au public”.

 

 

7) Dopo la scomparsa di Manzetti

Alla fine dell’Ottocento sembrava che l’automa non fosse sopravvissuto al suo inventore. Nel 1877 era passato al fratello Luigi, che probabilmente ne ricostruì alcune parti anche se probabilmente non fu più in grado di farlo funzionare. Nel 1883, il barone Bich auspicava di “ottenere i mezzi necessari per rimettere in stato di completa riparazione l’automa” il quale avrebbe potuto essere un’ottima attrazione all’Esposizione di Torino.

Un articolo del giornale Le Mont-Blanc del 7 aprile 1899 proponeva di realizza­re in Aosta un museo dedicato al genio valdostano, citando anche la presenza del fameux automate, ancora di proprietà degli eredi Manzetti.

Nel 1906, Felice, nipote di Innocenzo e proprietario dell’automa, descrisse l’opera con queste parole: Dit automate se lève d’assis, fait ses saluts et, celui qui l’accompagne étant près, porte sur ses lèvres la flûte et joue très-bien. Non è tuttavia chiaro se l’automa fosse ancora effettivamente funzionante o se quanto affermato fosse riferito a sue presunte potenzialità.

Nel 1917 Rinaldo (detto Robert) Manzetti, nipote di un fratello di Innocenzo, impegnato sul fronte italiano durante la Prima guerra mondiale, tentò di portare l’automa con sé in Francia, intendendo promuovere l’attività di inventore del prozio.

Nel 1929 l’automa era dato ancora per esistente ma non più funzionante: “Cet automate existe encore, mais il est inerte: le génie qui l’a façonné n’est plus là pour le faire marcher” (J.-M. Henry, Histoire de la Vallée d’Aoste, 1929); la sua ultima traccia, prima del recente ritrovamento, risale al 1930, quando un giornalista del Corriere della Sera ne testimoniò l’esistenza.

 

8) Il ritrovamento e il restauro

Ciò che restava dell’Automa e del relativo armonium fu rinvenuto nel 1996 dai biografi di Manzetti Mauro Caniggia Nicolotti e Luca Poggianti nei magazzini della Regione Autonoma della Valle d'Aosta, che nel tempo ne era diventata proprietaria.

Negli anni successivi, l'Amministrazione regionale ha promosso e finanziato un restauro a opera del professionista tedesco Matthias Naeschke.

Dal 2007 al 2011, il robot è stato esposto alla mostra “Au fil des ondes - 150 ans de télécommunica­tions en Vallée d’Aoste” organizzata dall’AVAS presso la Maison de Mosse di Runaz, ad Avise (Valle d’Aosta).

Dal 13 aprile 2012 l'Automa è esposto al pubblico nella sala museale permanente del Saint-Bénin, in via Festaz 27 ad Aosta.

 

Caratteristiche e funzionamento dell'automa

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