Benché fosse già stato realizzato nell’anno precedente, è nel 1865 che il telefono di Manzetti venne presentato al pubblico e assurse all’onore delle cronache di tutto il mondo.
Il suo apparecchio sperimentale del 1850, dopo lunghi anni di sperimentazioni e di perfezionamenti, uscì dal suo laboratorio e diventò a tutti gli effetti e per tutti il telefono, di cui quindi Manzetti è indiscusso pioniere e inventore.
Lo strumento di cui trattarono le cronache dell’epoca era sorprendente: mentre Manzetti lo definiva “télégraphe vocal”, la stampa lo chiamava già con il nome di telefono.
Il telefono del 1865 era composto da due cornette elettromagnetiche – emittente e ricevente reversibili, unite tra loro da due fili elettrici conduttori – le quali, come ricordava la Feuille d’Aoste del 19 dicembre 1865, trasmettevano per mezzo dell’elettricità le vibrazioni delle onde sonore prodotte dalle parole e ciò avveniva a bocca libera ed aperta.
Tutte le descrizioni testimoniano l’utilizzo di uno strumento elettrico capace sia di trasformare le onde sonore in impulsi elettrici in una stazione emittente, sia di trasmetterli ad una stazione di ricezione e viceversa, in base al principio dell’induzione elettromagnetica.
Ricostruzione ideale in 3D del telefono Manzetti
I render di questo sito sono stati realizzati da Nadia Ravera, Riccardo Covino e Andrea Regis su indicazione dei biografi di Manzetti (su incarico dell'Assessorato Istruzione e Cultura della Regione Autonoma Valle d'Aosta)
Descrizioni del telefono del 1864-65
Dopo la morte dell’inventore, nei suoi manoscritti fu rinvenuta la descrizione del suo telefono stilata da un suo amico, il dottor Pierre Dupont, Maggiore medico dell’esercito sardo:
Il telegrafo parlante era composto da un cornetto a forma di imbuto nel quale si trovava una lamina di ferro (una piastrina molto sottile) piazzata trasversalmente. Questa lamina vibrava facilmente sotto l’impulso delle onde sonore provenienti dal fondo dell’imbuto. Nel cornetto trovava posto anche un ago magnetizzato infilato in una bobina, posizionato verticalmente rispetto alla lama vibrante e vicino a questa. Dalla bobina partiva un filo di rame avvolto nella seta il cui secondo capo si collegava ad una bobina piazzata in un apparecchio identico a quello già descritto. Da quest’ultimo partiva un ulteriore filo elettrico che andava a collegarsi al primo. Dunque, se in prossimità della lama del cornetto si emetteva un suono, questo suono era subito riprodotto dalla lama dell’altro cornetto. La comunicazione tra le lame delle due cornette avveniva in forza di un principio che le vibrazioni di una lama di ferro davanti al polo di un pezzo di ferro magnetizzato determinano delle correnti elettriche che durano quanto dura la vibrazione della lama. In poche parole le onde sonore prodotte dalla voce, il suono, in un cornetto si trasformano nell’apparecchio in onde elettriche e ridiventano onde sonore nell’altro cornetto.
Nel 1886, in una lettera ad un corrispondente, il canonico Edouard Bérard descrisse il telefono di Manzetti che ebbe modo di sperimentare nel 1864.
L’apparecchio che aveva utilizzato era formato da un contenitore di cuoio a forma di piccolo barile. Lo strumento era aperto da una parte e chiuso dall’altra da una sorta di diaframma realizzato in pergamena. Su quest’ultimo trovava spazio uno strumento (del quale il canonico non fu in grado di dare una definizione) da cui partiva un filo metallico avvolto in una spirale, che andava a raggiungere un apparecchio a forma di tamburo situato su di un tavolo. Il meccanismo era, a sua volta, ricoperto da un diaframma di pergamena ben tesa al di sopra del quale si trovavano dei piccoli meccanismi posti in comunicazione con due pile Bunsen. Dal tamburo partiva un cavetto metallico - anch’esso avvolto in una spirale - che era collegato ad una seconda “cornetta”. La quale doveva essere accostata all’orecchio da parte di chi ascoltava, mentre chi parlava poteva farlo liberamente dentro una seconda cornetta.